Da poche settimane il reparto Fiordalisi ha il privilegio di ricevere la visita di due nuovi “amici”: Sally e Ariel. Sono due Golden Retrievers adulti, selezionati per operare accanto alle persone anziane residenti della nostra struttura: fanno ingresso maestosi ed eleganti catturando l’attenzione e la curiosità di chiunque abbia la fortuna di incrociarli tra i portici del chiostro o tra i corridoi dei piani di reparto. Anche il semplice loro passeggiare a 4 zampe offre l’occasione per una battuta, per una chiacchiera, per un racconto, per un ricordo o ancora più semplicemente per un’espressione improvvisa e inaspettata. Insieme a loro non mancano mai la Dr.ssa Caterina Ambrosi Zaiontz (Psicologo/Psicoterapeuta/Educatore Cinofilo certificato in Pet Therapy ) e Dolores Genco (allevatore, educatore cinofilo certificato in Pet Therapy) con le quali l’equipe del reparto ha condiviso il progetto terapeutico, il metodo e le persone anziane che avrebbero beneficiato di questa preziosa occasione (…) Recuperando frammenti dalla letteratura, potremmo soffermarci molto sulla natura dell’intervento e sulle possibilità che la terapia con il cane offre all’anziano istituzionalizzato; partendo dalla sua configurazione come attività di sostegno e svago fino a giungere alla natura terapeutica, attraversando gli studi relativi alla validità ed efficacia che l’interazione con il cane offre: appare infatti in grado non solo di ridurre i disturbi comportamentali (agitazione, aggressività), lo stress e le turbe dell’umore (ansia, apatia, depressione), ma anche di stimolare alcune funzioni cognitive residue. In particolare i lavori riportano un effetto benefico sulla memoria a lungo termine (attraverso l’evocazione di ricordi legati a un precedente possesso di animali), sulla comunicazione verbale e non verbale, sulla stimolazione sensoriale, e sulla soddisfazione di certi bisogni primari, quali attenzione e affetto (Kongable et al., 1989; Manor, 1991; Fritz et al., 1995). Ma l’attenzione è sempre rivolta a ciò che si osserva nel qui ed ora, nel momento dell’incontro, dell’approccio e dell’atteso appuntamento: i residenti coinvolti, ognuno con la propria personalità, ognuno con la propria storia passata e presente, mostra spontaneamente ciò che avverte emotivamente ed affettivamente. E’ affascinante accorgersi del contatto oculare spontaneo che viene a crearsi, della facilità con cui avvicinandosi al cane fuoriescano quelle parole che quotidianamente faticano ad emergere, dell’evolversi di contenuti personali ed intimi, della reattività improvvisa e del cambiamento immediato di espressione. C’è chi si preoccupa dell’animale, chi se ne prende cura, chi lo aspetta, chi ci gioca e chi esercita un comando, chi avverte il valore della visita e durante la settimana procura dei regali per il suo ospite visitatore, chi si emoziona sentendosi avvolto in una relazione unica e personale e chi ancora si sente protetta a tal punto da dire “Siamo diventati amici”. Un percorso dunque ricco e arricchente, che lasci intravedere anche altre possibilità e strade sicuramente lontane ma percorribili. Una tra queste, la possibilità per l’anziano di mantenere il proprio animale qualora venga ricoverato in RSA. Secondo un’inchiesta promossa dall’AFIRAC (Association Française d’Information e de Recherche sur l’Animal de Compagnie) in Francia il 20% delle istituzioni pubbliche e il 25% di quelle private consentono all’ospite di tenere con sé il proprio animale, mentre in quasi il 40% alberga uno o più animali “mascotte” (Vuillemont, 1997). Certamente nel nostro Paese le percentuali sono enormemente inferiori. Eppure non v’è dubbio che per molti anziani soli -anche cognitivamente compromessi- il ruolo dell’animale sarebbe di primaria importanza in quanto testimone vivo del passato, espressione del desiderio umano di prendersi cura -o di essere oggetto delle attenzioni e dell’affetto- di un altro essere vivente. Impedire perciò ad un anziano di avere in istituzione il proprio animale significa privarlo di un’insostituibile fonte affettiva, troncargli i legami con il passato e, in ultima analisi, favorirne il decadimento cognitivo.